Cristina Martinico
Tantissimi, a Misiliscemi e non solo, conoscono Stefano Gianquinto, perché per quasi vent’anni ha lavorato come collaboratore scolastico presso la Scuola Media di Marausa fino alla pensione nel marzo 2020. Precedentemente, dopo una brevissima parentesi di un anno come dattilografo presso il Tribunale di Trapani, era stato in servizio all’ITC Calvino della stessa città a partire dal 1983. Stefano ha dunque visto crescere diverse generazioni di ragazzi nel corso della sua lunga vita lavorativa.
Molti forse conoscono la sua attività collaterale di pittore, ma probabilmente non nei dettagli, anche perché lui è molto riservato a riguardo. Fatta eccezione per le mostre in cui è stato possibile ammirare le sue bellissime opere, per il resto le custodisce in maniera del tutto privata. Artista autodidatta, in oltre quarant’anni di produzione di opere pittoriche ha sviluppato un percorso creativo unico nel suo genere. Per la prima volta racconta la sua storia e ci fa scoprire come la sua grande intraprendenza lo abbia portato a fare degli incontri importanti e abbia avuto la capacità di creare rapporti che hanno influenzato il suo percorso artistico e umano.
Stefano è nato a Locogrande nel 1956 ed è l’unico figlio di Giovanbattista e Francesca con i quali ha sempre vissuto nella casa di famiglia immersa nella campagna che è ancora l’abitazione in cui vive con sua moglie Concetta e il luogo dove da sempre dipinge. A nove anni Stefano ha sviluppato il diabete infantile, malattia che lo accompagna da tutta la vita e con la quale ha imparato a convivere grazie ai suoi genitori che, volendo il meglio per lui, hanno fin dal principio avviato le cure presso un ospedale romano. Come Stefano racconta, quella scelta gli ha salvato la vita, perché il medico che lo ha seguito per tantissimo tempo lo ha tirato fuori da una situazione molto critica. Nel corso degli anni Stefano è rimasto periodicamente e per diverse settimane di fila ricoverato a Roma per monitorare e stabilizzare il diabete. “La malattia ha influenzato tutta la mia vita e le scelte che avrei potuto fare, ma è anche stata l’occasione che mi ha dato l’opportunità, grazie ai tanti viaggi che ho fatto per le cure, di conoscere posti, visitare musei e gallerie in diverse città italiane”.
Intorno ai 14 anni conosce Giuseppe Martinico, un maestro elementare anche lui residente a Locogrande e di cui molti si ricorderanno, un uomo che aveva una grande passione per l’arte e si dedicava alla pittura da tantissimo tempo. Stefano, affascinato dal suo lavoro, andava spesso a trovarlo presso l’antico baglio dove il maestro viveva e con lui ha instaurato un bellissimo rapporto di amicizia, durato fino alla morte del maestro nel 2002. Come un nonno per un nipote, il maestro Martinico – come tutti lo chiamavano – è stato fonte di ispirazione per Stefano, che ricorda di aver comprato adolescente le sue prime tele e i colori ad olio e sull’esempio del suo maestro ha iniziato a dipingere i soggetti che gli erano familiari: i tramonti, la torre di Marausa vicina all’antica chiesa (oggi non più esistente) e il mare.
Con il passare del tempo Stefano inizia ad essere sempre più affascinato dal mondo dell’arte, ha una predilezione per quella figurativa e astratta, come lui stesso racconta: “Da ragazzino andavo con la Vespa a Trapani per vedere le mostre in una piccola galleria del centro, lì iniziavo a conoscere il lavoro di artisti trapanesi come Enzo Romeo, Giovanni Valfré, Enzo Messina e tanti altri”. Esperienze certamente non comuni fra i suoi coetanei, soprattutto considerando che erano gli inizi degli anni Settanta e che, dalla campagna di Locogrande, Stefano si spostava di proposito fino in città non per andare a divertirsi come tanti suoi coetanei avrebbero fatto, ma per frequentare un luogo culturalmente vivo, un posto dove poter incontrare personaggi che erano di grande stimolo per la sua sete di conoscenza e che lo avrebbero aiutato a scoprire ciò che accadeva in ambito artistico.
Nel 1977 la tv trasmette lo sceneggiato diretto da Salvatore Nocita e basato sulla vita dell’artista Antonio Ligabue, così Stefano conosce per la prima volta le opere del grande e tormentato pittore e rimane affascinato dal suo stile figurativo, tanto che prova ad imitarlo. Si rende subito conto di non riuscire a riprodurlo, dunque ritorna al paesaggio ed inizia a dipingere soggetti diversi, come vigneti e agrumeti, ma dalla nuova impronta stilistica un po’ naïf, dunque con una modalità molto differente da quella del passato.
Nel 1980 Stefano espone con la sua prima personale a Trapani presso Palazzo Cavarretta ed è sempre più assetato di incontri con altri artisti con i quali poter avere un confronto diretto e uno scambio di opinioni. Così nel 1982 la sua intraprendenza lo porta a conoscere il pittore Alberto Gianquinto, raffinato artista del Novecento che era stato membro del gruppo “Il Pro e il Contro” che contava, fra gli altri, artisti come Carla Accardi, Ennio Calabria e Ugo Attardi.
Alberto Gianquinto aveva partecipato diverse volte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, era dunque un artista di altissimo livello, ma Stefano – che sconosceva la sua esistenza – lo contatta in modo del tutto casuale e davvero molto originale.
Come lui stesso racconta: “Un giorno ero in attesa all’aeroporto, sfogliando l’elenco telefonico di Venezia sotto il cognome Gianquinto, ho trovato questo Alberto, di professione pittore. Allora mi sono incuriosito, perché mi sono chiesto se ci potesse essere una parentela fra noi, ho segnato il numero e l’ho chiamato. Lui ha risposto al telefono e mi ha detto che in realtà il padre era originario di Paceco; molto sorpreso e colpito dalla mia telefonata dove gli raccontavo che anch’io dipingevo, mi ha chiesto di inviargli le foto di alcune mie opere perché voleva conoscere me e il mio lavoro”. Così gli spedisce quelle foto e Gianquinto ricambia inviandogli una sua serigrafia che gli fa arrivare con il treno alla stazione di Trapani. Da quell’episodio si rafforza l’amore di Stefano per l’arte figurativa e astratta, ma soprattutto, a partire da quell’episodio nasce una grande amicizia che legherà i due pittori per tutta la vita.
Agli inizi degli anni Ottanta Stefano frequenta costantemente la galleria d’arte “La Salerniana”, presso l’ex Convento San Carlo di Erice e durante una mostra collettiva scopre la pittura di Giuliano Giuman, artista umbro ed ex musicista. Colpito dal lavoro dell’artista, in occasione di una visita di controllo presso l’ospedale di Perugia nel 1983, decide di cercare l’indirizzo del pittore sull’elenco telefonico della città e di andare direttamente a suonare al suo campanello. Così fa e si presenta alla porta dicendo che è lì perché vuole conoscerlo. Giuman, sorpreso da quella visita lo accoglie, gli fa visitare il suo studio e infine, prima che Stefano vada via gli fa dono di due acqueforti, segnando così la nascita di un’amicizia ancora viva oggi, dopo quasi quarant’anni.
Nel 1986 arriva la sua seconda personale a Palazzo Cavarretta e nel 1987 partecipa a Marsala al Premio “Artisti per la pace nel mondo”. Proprio in quell’anno Stefano realizza “Le quattro stagioni”, opera nella quale individua l’esatto momento in cui per la prima volta inizia il suo studio dei “neri”, seguito poi da quello della “terra bruciata”. Un genere di opere ispirate dalla visione di ciò che restava delle sterpaglie dei campi dopo che erano state arse dai contadini. Un’insieme di erbe e rami carbonizzati, alternati a zolle di terra e resti di spighe di grano rinsecchite dal fuoco e mischiate al grigio chiaro della cenere. Immagini che sono parte integrante del paesaggio siciliano in alcuni periodi dell’anno, soprattutto durante la primavera e l’estate. Questi temi, da quel momento in poi, caratterizzeranno tutto il lavoro artistico di Stefano, tanto che ad oggi sono ben 227 le opere che rientrano in questi due temi costantemente riprodotti.
Nel 1988 Alberto Gianquinto invita Stefano a visitare la Biennale di Venezia regalandogli un bellissimo soggiorno presso uno dei più noti alberghi della città e dandogli l’occasione di trascorrere dei giorni meravigliosi, circondato da artisti importanti e la possibilità di poter visitare i padiglioni internazionali. In seguito Stefano sarà il tramite per la mostra personale di Alberto Gianquinto presso la galleria d’arte “La Salerniana” di Erice nel 1990.
Flaviostocco, già gallerista di Alberto Gianquinto e che aveva conosciuto Stefano in occasione della mostra di Erice, lo invita ad esporre presso la propria galleria d’arte a Castelfranco Veneto (TV) nel 1994. Seguono poi la mostra presso l’Oratorio di S. Stefano Protomartire di Palermo nel 2001, quella presso Palazzo Riccio di Morana a Trapani nel 2002 e la partecipazione al “Premio Michetti” di Francavilla a Mare (CH) nel 2003. Fino ad arrivare all’ultima personale intitolata “Dopo”, svoltasi presso l’Ente Mostra Nazionale di Pittura Contemporanea Città di Marsala nel 2016, esposizione dove sono state presentate anche alcune opere giovanili inedite, oltre a quelle prodotte negli anni precedenti.
Stefano ha dedicato quasi totalmente gli ultimi trentacinque anni del suo lavoro a sviluppare il concetto della “terra bruciata” e del “nero”, dipingendo minuziosamente con infinite velature, tonalità visibili come vibrazioni sulla superficie della tela di lino, che lui stesso da sempre taglia e monta sul legno. Le più svariate sfumature di nero occupano vaste aree e solo talvolta lasciano spazio a campiture di ocra e giallo-arancio, le due tonalità che usa per raffigurare i campi di grano. O ancora, raramente il nero si combina con stesure di azzurro chiaro–indaco per mostrare scorci di cielo. Acrilici pazientemente applicati, impiegando infinite ore e giorni, pennellata dopo pennellata, per raggiungere il colore necessario che agli occhi di Stefano dia il giusto equilibrio alla sua opera. Come spesso dice: “Io vedo già il quadro nella mia mente, devo solo capire come mettere sulla tela l’immagine che è nella mia testa”. Così capita che inizi a dipingere una tela e poi la metta da parte per riprenderla dopo mesi o addirittura anni per portarla a termine solo quando il suo occhio ha ottenuto ciò che desidera perché ha finalmente trovato la “giusta luce”.
E come Van Gogh dipingeva i campi che vedeva dalla finestra delle case in cui viveva ripetendo lo stesso soggetto più volte negli anni, così fa Stefano nelle due piccole stanze studio che si trovano nella sua casa di campagna a Locogrande. Nel silenzio della natura, dipinge al primo piano d’inverno e al piano terra d’estate. Due spazi perfettamente organizzati: i telai di legno di diverse dimensioni rigorosamente ordinati su una parete, il grande rotolo di lino in un angolo, i colori allineati, i cataloghi d’arte su uno scaffale e una tela sempre posizionata sul cavalletto. Il suo sguardo oltrepassa le finestre con i battenti in legno e, come in uno dei voli dipinti da Chagall, sorvola i campi e le colline di Misiliscemi per cogliere tutto ciò che poi mostra nelle bellissime opere che dipinge, attraverso le sue uniche prospettive dall’alto.
Non c’è dubbio che i lavori di Stefano siano istantanee di alcuni paesaggi di questo territorio, racconti visivi della storia di questa terra da sempre legata all’agricoltura. Immagini impresse nella memoria di generazioni, fotografie che il tempo non ha mutato. Forse secoli fa i nostri antenati osservavano gli stessi identici campi bruciati che ancora oggi noi vediamo attorno a noi, perché alcune azioni dell’uomo restano immutate e custodiscono la storia. E se anche cambiassero le abitudini, ci potremo sempre immergere tra le sfumature e le prospettive di Stefano Gianquinto per ricordarci del passato di questa terra.