“Una NONNA che si pettina i capelli, colma il cielo del suo gesto“
Enzo Di Stefano
Mia nonna Brigida, ‘a za Bicita, “recamatènna”, aveva dei bellissimi capelli raccolti in una sorta di tupè detto “tuppu”. Periodicamente scioglieva la sua fluente e lunga chioma bianca e ondulata e, seduta sulla piccola seggiola, con grande cura la pettinava con una spazzola, sempre la stessa, col manico in legno. Alla fine, nonna Brigida, raccoglieva i capelli spezzati rimasti impigliati sulle setole della spazzola e li conservava – se la memoria non mi inganna – tra fogli di carta.
Pensavo fosse una specie di rito legato a qualche misteriosa superstizione. Solo dopo un po’ di tempo capii che si trattava di “commercio in purezza” ovvero, commercio realizzato con la formula del baratto. Periodicamente infatti, passava per le abitazioni della nostra contrada di Salinagrande, una sorta di raccoglitore ambulante che scambiava i capelli delle nonne o delle mamme, con altri umili oggetti – spesso di plastica – quali: pettini, piccoli specchi, bacinelle, forbici, rocchetti di filo (spagnolette), aghi ecc. Non mi ero mai chiesto quale fosse il vero motivo di quello strano baratto, ma mi affascinava il modo di negoziare delle donne che orgogliosamente esigevano il giusto corrispettivo alla quantità di capelli ceduti. Ricordo che a volte provavo rabbia e delusione nel ritenere poco vantaggioso lo scambio effettuato dalla nonna, che aveva ricevuto magari, degli aghi e un po’ di filo, dopo aver passato tanto tempo a raccogliere con pazienza i suoi capelli spezzati.
Eravamo più bravi noi bambini a praticar baratto. Ci scambiavamo di tutto: piccoli giocattoli, fionde con manico d’ulivo, ecc. Ricordo che una volta scambiai, con un mio amico di giochi, una piccola palla con un elmetto americano da guerra, che, per uno strano caso del destino, diventò anch’esso merce da baratto. Qualche tempo dopo, infatti, insieme ad altre cianfrusaglie di metallo, fu barattato col ferrivecchi, che ogni tanto passava con la sua “apa” scassata per le vie di Salinagrande.
Dopo qualche tempo non passò più nessun raccoglitore ambulante per la nostra piccola contrada ed io pensai che ormai il benessere dentro ogni casa fosse tale da aver soppiantato per sempre quell’arcaica pratica di baratto. Mia nonna ormai non conservava più i suoi lunghi capelli spezzati e tutto finì nel grande e oscuro contenitore del passato. Dopo tanti anni, cercando chissà cosa su internet, ho scoperto che il commercio dei capelli ha avuto origini antiche e che esiste ancora oggi. Non si realizza più tramite il baratto con il raccoglitore ambulante di capelli, ma attraverso vere e proprie operazioni commerciali di alcune aziende e società, e rappresenta un grande business mondiale, nell’ambito delle creazioni di parrucche ma, soprattutto, di extension. L’Europa ne importa ogni anno – per lo più dai paesi asiatici – oltre 23 milioni, di cui 9 milioni solo per l’Italia. Proprio per questo, vista la crescita della domanda, negli ultimi anni il mercato ha avuto un’importante incremento, tanto che oggi ci sono aziende che producono circa 20 mila pacchi al giorno di extension. Ah, se lo sapesse mia nonna! In Italia, da circa 30 anni, non c’è più nessuno che si occupi dell’export di capelli, l’ultima azienda, presente nel nord Italia, fu attiva fino agli anni ’60 circa. Di quella realtà, oggi rimane un museo a Valle Maira in Piemonte, il Museo dei “Caviè” o Museo di “Pels”, dedicato proprio al commercio dei capelli.
CC0, via Wikimedia Commons
Oggi, ripensando a mia nonna, mi rimane quella dolce immagine di lei che spazzola i capelli. Qualcuno dice che “Una donna che si pettina i capelli colma il cielo del suo gesto”. È proprio così, anche se io direi che una NONNA che si pettina i capelli, colma il cielo del suo gesto.